Sembra che, da quel che scriviamo sui social e dal modo in cui usiamo lo smartphone, si possa risalire al nostro stato di salute. È la nuova frontiera della ricerca medica: la fenotipizzazione digitale.
Che i social collezionino i nostri dati è una certezza. Così come lo è il fatto che questi dati siano, detto con un eufemismo, apprezzati dalle aziende che si occupano di marketing. Non solo da loro: le informazioni che seminiamo nelle nostre vite digitali si prestano infatti anche a uno scopo non previsto, almeno inizialmente: permettere agli scienziati di comprendere come stiamo in salute. Si chiama fenotipizzazione digitale, espressione coniata dalla Harvard TH Chan School of Public Health, ed è un campo di studio in crescita.
COME FUNZIONA. Ad oggi gli scienziati sono interessati sia ai dati che forniamo attraverso i social sia a quelli generati dall’uso intensivo dello smartphone (e dello smartwatch). Entrambi possono far luce sulla nostra salute fisica ed emotiva.
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Gli smartphone, per esempio, generano due forme di dati digitali: dati attivi o prodotti dagli utenti, inclusi contenuti in testi, chiamate e social media e dati passivi tra cui posizione spaziale, tempo trascorso in vari luoghi, velocità di guida e modelli di utilizzo del telefono raccolti tramite i sensori del telefono. Secondo JP Onnela, professore associato di biostatistica presso la Harvard Medical School, questi dati sono più affidabili e accurati nella comprensione dei comportamenti rispetto ai dati acquisiti tramite interviste o sondaggi. Gli studiosi ad oggi possono utilizzarli per monitorare l’efficacia dei trattamenti dei pazienti, identificare i fenotipi delle malattie psichiatriche, per esempio per prevedere il disturbo bipolare e la schizofrenia e condurre studi farmacologici e medicina di precisione. Le applicazioni sono infinite o quasi. La Mindstrong Health, una startup con sede in California, per esempio, ha sviluppato un’app di ricerca per monitorare continuamente le abitudini telefoniche degli utenti, per cogliere cambiamenti dell’umore e della memoria associati alla depressione a partire dall’analisi dell’accuratezza della scrittura sulla tastiera.
IL RUOLO DEI SOCIAL. Anche i dati che arrivano via social si portano dietro una loro verità. Facebook per esempio ha recentemente annunciato un algoritmo che analizza i post per vedere se gli utenti mostrano segni di pensieri suicidi e, nel caso, avvisare un team di controllo. I video di Youtube, d’altro canto, stanno aiutando gli scienziati a dati sull’autismo. Alcuni ricercatori sono per esempio impegnati nella creazione di software intelligenti capaci di notare le stesse cose che noterebbe un pediatra: il bambino risponde a un genitore che chiama il suo nome? Il bambino riesce facilmente a spostare la sua attenzione da un oggetto all’altro? Quantificando queste risposte, gli algoritmi potrebbero imparare a raccogliere schemi dai video e a riconoscere successivamente i segnali della malattia. Proprio come è avvenuto in uno studio del 2018 che ha utilizzato video di YouTube e i dati di uno smartwatch per classificare i movimenti tipici e atipici delle sindromi autistiche.
MONITORARE L’HIV. Nel 2017 i ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania hanno scoperto che Twitter e Facebook potevano aiutarli a identificare le tendenze comportamentali e gli atteggiamenti rilevanti per il rischio di infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV). In particolare, studiando l’impatto dei social media sull’HIV, i ricercatori hanno scoperto che le persone che vivono in zone con tassi di HIV più bassi avevano maggiori probabilità di usare nei loro tweet parole d’azione come “lavoro”, e “impegno”. Il loro studio si basava sull’analisi di più di 150 milioni di tweet da persone negli Stati Uniti e i tweet, va detto, non indicavano direttamente se una persona era sieropositiva o stava pianificando di sottoporsi al test per il virus, ma aspetti più generali. Un approccio simile è stato impiegato anche per esaminare altre condizioni di salute come il diabete. E gli esperti di big data ritengono che in futuro potrà dare un importante contributo alla medicina preventiva.
I LIMITI DELLA RICERCA. Questi sono solo alcuni esempi di fenotipizzazione digitale. I ricercatori che ci lavorano sperano un giorno di riuscire intercettare i segnali di malattie, che vanno dalla depressione al morbo di Parkinson alla schizofrenia, prima ancora che siano diagnosticate da un medico. Ma comprendere dati così “densi” è estremamente difficile e richiede modelli efficaci e tecniche analitiche che abbiano una validità clinica. Senza contare che l’accuratezza dei dispositivi hi-tech come monitor per la salute non è ancora del tutto dimostrata. Non ultima c’è la questione etica: ci sentiremo a nostro agio se le nostre azioni quotidiane saranno monitorate affinché qualcuno capisca, prima di noi, se siamo malati? Come saranno gestite e condivise le informazioni con chi è a rischio o la sua famiglia? Anche a queste domande bisognerà dare una risposta.