L’inattesa relazione tra le necessità di manutenzione delle grandi opere di ingegneria nella Roma antica e la durata in vita degli imperatori romani.
Il potere, si sa, ha pro e contro: dei “contro” ne sanno qualcosa i quarantatré imperatori romani deceduti per morte violenta (dei sessantanove che hanno regnato sull’Impero Romano dal 27 a.C. al 395 d.C.), assassinati (79%), caduti in battaglia (12%) o suicidi (9%). Ma se fino ad oggi si pensava che ogni morte fosse una storia a sé, causata da motivi forse simili, ma comunque diversi, una ricerca pubblicata su Palgrave Communications (Nature) offre una nuova e curiosa interpretazione dei fatti: la durata dei regni, se riportata su un grafico, mostra di avere lo stesso andamento della resistenza dei componenti della famosa ingegneria dei romani, dai ponti di barche, agli acquedotti, alle fortificazioni.
OBSOLESCENZA. Lo studio va considerato “con leggerezza”: è lo stesso autore, l’ingegnere aerospaziale Joseph Saleh, a sottolinearne le limitazioni, dovute anche alle fonti antiche, spesso discordanti nel riferire motivi e circostanze della morte degli imperatori. In breve, Saleh mette in evidenza il curioso parallelismo tra obsolescenza artificiale degli imperatori e obsolescenza naturale dei componenti: l’imperatore era dunque amato finché ciò che faceva costruire o sistemare era solido e affidabile. Poi… si cambiava imperatore!
PICCHI DI RISCHIO. Il regno per un imperatore romano iniziava nel peggiore dei modi: durante il primo anno il rischio di morte era altissimo, esattamente come il rischio di cedimenti delle opere costruite in precedenza. Dal secondo anno in poi la situazione si stabilizzava per un po’, per tornare a peggiorare attorno al dodicesimo anno: le “grandi opere” risentivano dell’eccessiva usura e Roma sentiva la necessità di un nuovo imperatore.